Osteonecrosi testa del femore
necrosi testa femore esito di frattura del collo femorale
Quando si parla di osteonecrosi della testa del femore (o necrosi avascolare dell’anca), si intende una patologia che colpisce la testa del femore, che si articola con l’acetabolo del bacino.
Nella fisiopatologia dell’osteonecrosi della testa del femore intervengono fenomeni di occlusione vascolare e ischemia ossea, ossia un’interruzione del flusso sanguigno al tessuto osseo della parte prossimale del femore. Il mancato apporto ematico e, quindi, di ossigeno, determina una sofferenza dell’osso fino alla sua morte (necrosi). Questa condizione scatena una risposta infiammatoria, creando un tessuto fibroso riparativo circostante che produce riassorbimento e neoformazione ossea. La testa del femore subisce così una progressiva deformazione con indebolimento dell’osso trabecolare che, per effetto del carico, può determinare una frattura subcondrale o un’incongruenza della superficie articolare, che porta al deterioramento della cartilagine e, di conseguenza, a una coxartrosi precoce con dolore molto intenso.
Si ritiene che la diffusione della necrosi della testa del femore idiopatica sia in crescita in tutto il mondo, con una maggiore prevalenza in uomini di età tra i 40 e i 60 anni, e fino al 50% dei casi si può manifestare in forma bilaterale nella testa del femore. Nel caso di osteonecrosi secondaria, in cui la necrosi è esito di traumi o malattie metaboliche, la sua incidenza riguarda indistintamente uomini e donne di qualsiasi età.
Quali sono le cause più frequenti
Varie condizioni cliniche sono associate allo sviluppo di necrosi della testa del femore, vediamo le principali:
Trauma In caso di lussazione traumatica dell’anca o di frattura sottocapitata del collo del femore, si verifica un danno alla vascolarizzazione della testa del femore, che in una percentuale variabile dal 10% al 25% può portare a gravi ripercussioni sull’apporto ematico fornito dal legamento rotondo e dalle arterie retinacolari, fino a provocare la necrosi del tessuto osseo.
Terapie cortisoniche prolungate L’aumento della prevalenza di osteonecrosi nei pazienti che vengono trattati per lunghi periodi con terapia corticosteroidea per patologie come connettiviti, nefropatie, Morbo di Cushing, Sindrome di Gaucher, asma, vasculiti o trapianto d’organo è un fenomeno ben riconosciuto. Numerosi studi hanno ipotizzato che dosi elevate di questi farmaci, anche per breve durata, presentino rischi più significativi rispetto alla dose cumulativa.
Abuso cronico di alcol o stupefacenti L’assunzione prolungata o smodata di alcol o stupefacenti può indurre osteonecrosi del femore in una percentuale dal 10% al 40% dei casi. In questi casi si verificano fenomeni di citotossicità e coagulazione intravascolare, con occlusione trombotica del microcircolo e conseguente riduzione dell’apporto d’ossigeno ai tessuti.
Malattia da decompressione Frequente soprattutto in passato, colpiva i lavoratori dei tunnel ad aria pressurizzata (malattia dei cassoni) e chi si immergeva ad elevate profondità (subacquei). In questi ultimi, il rischio è correlato alla profondità, al numero di immersioni e alle basse concentrazioni d’ossigeno che risulterebbero in un fenomeno di embolizzazione d’azoto per decompressione rapida e incontrollata.
Meno frequentemente, si osservano fenomeni di osteonecrosi in associazione con emoglobinopatie (anemia falciforme, talassemia, drepanocitosi); patologie autoimmuni (Lupus Eritematoso Sistemico); iperlipidemia, ipercolesterolemia, pancreatiti, gotta o radioterapia o chemioterapia prolungata.
In funzione dello stadio più o meno avanzato della patologia, esistono differenti possibilità di trattamento: innanzitutto, un’adeguata terapia analgesica, accompagnata da un corretto percorso riabilitativo, è utile nella gestione del dolore e nel preservare la funzionalità dell’articolazione, evitando rigidità dell’anca e contratture muscolari dolorose.
Terapia conservativa
Nella fase iniziale/intermedia della patologia, quando non si osservano ancora manifestazioni degenerative a carico dell’articolazione, l’approccio conservativo si avvale di:
Ossigenoterapia iperbarica (OTI) L’esposizione ad alte concentrazioni d’ossigeno in camera iperbarica determina un incremento (fino a 15 volte superiore al normale) della quota di O2 trasportata direttamente al tessuto osseo. Pertanto, con questo meccanismo è possibile ripristinare l’ossigenazione in aree dove la vascolarizzazione risulta carente o danneggiata, contribuendo ad arrestare la degenerazione del tessuto osseo. Solitamente si effettua un primo ciclo di 30-40 sedute giornaliere, al termine del quale è necessaria una rivalutazione specialistica (previa esecuzione di una risonanza magnetica di controllo a due mesi dalla fine del ciclo), per valutarne l’efficacia in termini di ripristino del segnale fisiologico dell’osso vitale ed, eventualmente, per indicare la prosecuzione della terapia con un ulteriore ciclo.
Magnetoterapia L’applicazione di campi elettromagnetici pulsati (a frequenza e intensità variabile) contribuisce a stimolare il metabolismo osseo nel primissimo stadio della malattia, così da contrastare la progressiva riduzione del flusso ematico della testa del femore.
Bifosfonati Categoria di farmaci che stimolano il metabolismo osseo e che sono comunemente impiegati nelle forme di grave osteoporosi.
Terapia chirurgica
Quando la funzionalità articolare non è irrimediabilmente compromessa, in casi estremamente selezionati, si può ricorrere ad un intervento di decompressione del nucleo osseo con utilizzo di innesti ossei generalmente prelevati dal paziente: essa ha come obiettivo ristabilire il normale flusso vascolare, riducendo la pressione intraossea creando nuovi canali all’interno dell’osso vitale, per favorire la rigenerazione dell’osso e sostenere la cartilagine articolare.
Se la degenerazione artrosica (coxartrosi) è già evidente, la soluzione spesso consigliata in quanto risolutiva del dolore e della limitazione articolare, è rappresentata dall’impianto di una protesi totale d’anca: la sostituzione di entrambe le componenti articolari, oltre a ripristinare la biomeccanica dell’articolazione, consente di eliminare il dolore e recuperare un’elevata funzionalità articolare.
grave necrosi testa femore bilaterale con assorbimento dell’osso
In considerazione della giovane età e delle alte richieste funzionali dei soggetti con osteonecrosi, la via d’accesso chirurgica anteriore mininvasiva è la più indicata. Essa, grazie al risparmio dei tessuti muscolo-tendinei, all’utilizzo di un piano internervoso che riduce il dolore post-operatorio e a contenute perdite ematiche, consente una mobilizzazione precoce con una contrazione dei tempi di recupero dal punto di vista riabilitativo e del rischio di lussazione dell’impianto.
Per quanto riguarda la scelta dei biomateriali per la protesi, spesso si prediligono protesi in titanio e accoppiamenti articolari ceramica-ceramica, che presentano tassi di usura estremamente ridotti, per una più lunga durata dell’impianto protesico.
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L'opinione dei pazienti
Ulmerina – 85 anni
Osteonecrosi testa del femore
Non camminavo quasi più per un dolore crescente alla gamba, che si è rivelato effetto di una brutta necrosi al femore. Dopo qualche mese la situazione era così peggiorata che il dott. Razzaboni mi ha detto “Solo con l’intervento potrebbe avere una soluzione, altrimenti è condannata non solo ad avere sempre più male, ma non riuscirà nemmeno a stare seduta”. Non ci ho pensato a lungo, ho deciso di operarmi e, nonostante qualche altro problemino di salute, l’intervento è andato benissimo. Il dott. Razzaboni è stato molto chiaro sui rischi, come sulle possibilità. A distanza di 3 mesi camminavo già bene, senza quel dolore terribile ed avevo quasi completamente abbandonato il deambulatore: sono rinata!
I miei figli ed io vorremo fare davvero un “monumento” al dott. Razzaboni e a tutto il suo staff di Villa Igea: bravi, gentili, preparati e molto umani!
Loretta – 61 anni
Quando mi sono presentata per la prima volta nell’ambulatorio del dr. Razzaboni con un’artrosi molto grave al ginocchio destro, ero titubante al pensiero di dover affrontare un nuovo intervento di protesi, dopo aver subito la stessa operazione all’altro ginocchio anni prima. Per farmi superare le mie paure, visto che l’altra volta avevo avuto diverse difficoltà nella fase di recupero, ci sono volute tutta la pazienza e la bravura del dottore. Mi hanno aiutato tanto anche l’ambiente cordiale e accogliente della clinica e il bel rapporto con la mia fisioterapista.
Poi, quando al controllo dopo trenta giorni il dr. Razzaboni mi ha detto che la ripresa era già molto buona, beh… è stata la conferma che questa volta mi ero affidata alla persona giusta!
Giovanni – 77 anni
Coxartrosi bilaterale
Ho avuto modo di apprezzare l’alta professionalità del dott. Paolo Razzaboni, giovane chirurgo ortopedico presso Ospedali Privati Forlì, in occasione dell’intervento bilaterale di protesi d’anca, a cui sono stato sottoposto nel giro di un anno dopo aver valutato diverse alternative a Milano, dove risiedo.
La sua tecnica operatoria mininvasiva, senza taglio della muscolatura glutea, mi ha permesso un rapidissimo recupero funzionale di entrambi gli arti (in meno di una settimana) ed una minima cicatrice. Anche nell’assistenza post-operatoria, il dottore ha saputo indirizzarmi ed assicurarmi per una piena ripresa del movimento e della forza. Un grato ringraziamento al dottore ed al suo staff.
Rita – 61 anni
Coxartrosi primitiva
Il fatto che il giorno dopo l’intervento di protesi d’anca fossi già autonoma negli spostamenti è stato determinante per darmi la forza di portare avanti con successo la riabilitazione e riacquistare una funzionalità molto buona. Il dr. Razzaboni me lo aveva detto già il giorno della prima visita, quando mi aveva spiegato il tipo di intervento che aveva intenzione di fare, la tecnica mininvasiva anteriore e tutti i suoi vantaggi.
E devo dire che gli ho creduto senza riserve perché “a pelle” ha subito conquistato la mia fiducia, come non mi era invece accaduto anni prima con il chirurgo che mi aveva operato di protesi all’altra anca.
Francesca – 41 anni
Lesione legamento crociato
Mi avevano parlato del dott. Razzaboni altri pazienti che avevano fatto il mio stesso percorso e devo dire che, appena terminata la prima visita con lui, ho capito che era il medico giusto per me.
Ero stata da altri chirurghi, ma solo lui mi ha convinta; è una persona molto umile e squisita. Sapeva esattamente cosa avrebbe fatto e cosa sarebbe successo dopo l’intervento, passo dopo passo, e i tempi di ripresa sono stati esattamente quelli che aveva previsto.
Giulio – 60 anni
Gonartrosi
Ero convinto di poter tenere sotto controllo i dolori del mio ginocchio destro causati dall’artrosi, ma così non è stato: le medicine facevano effetto solo per brevi periodi, poi il problema si ripresentava. Me lo ha fatto capire subito il dottor Razzaboni, che mi ha consigliato di intervenire con una protesi parziale monocompartimentale del ginocchio: devo dire che è andato tutto molto bene e dopo un mese dall’intervento camminavo già tranquillamente. La fisioterapia è stata efficace e i terapisti, oltre a lavorare sui movimenti del ginocchio, hanno rafforzato i muscoli della coscia, migliorando la stabilità della gamba.
Franca – 87 anni
Coxartrosi primitiva
Soffrivo da tempo per una anca disastrata, per via di una coxartrosi sinistra grave, con evoluzione in necrosi e una grande limitazione funzionale. Faticavo a prendere una decisione per risolvere il problema. Quando ho incontrato il Dott. Razzaboni non ho più avuto dubbi! Mi sono da subito affidata, mi ha operata con la tecnica mininvasiva per via anteriore diretta ed ora cammino retta e non ho più alcun dolore!
Grazie a lui, grazie alla sua équipe.
Grazie, grazie… sono al settimo cielo dalla felicità!
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